Pino Pascali alla Fondazione Carriero di Milano

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Fino al 24 giugno 2017 alla Fondazione Carriero di Milano va in scena il fascino che l’arte africana ha esercitato sull’artista pugliese. In un allestimento impeccabile e con un forte pathos con la mostra “Uno sciamano di nome Pino Pascali”.

La mostra nasce con l’obiettivo di presentare l’opera di Pino Pascali (Bari, 1935 – Roma, 1968) in dialogo con quella che comunemente viene definita “arte tribale”. Esplorare l’approccio creativo dell’artista attraverso il suo legame con la cultura africana, a partire dall’interesse verso il primitivo, in contrapposizione ai miti della società moderna, e all’attenzione per il totemismo, i fenomeni di identificazione animale/individuo e alla concezione animistica della natura. 

Sono infatti molte le sinergie tra l’arte tribale e la poetica di Pino Pascali – figura eclettica, scultore, scenografo, performer, figura centrale della scena artistica italiana degli anni Sessanta, che trova nelle forme creative proprie all’Africa una fonte d’inesauribile ispirazione, nel tentativo di aprire a una dimensione magica, fantastica, giocosa e ambigua del fare artistico. La rappresentazione della natura stilizzata e ridotta ai suoi elementi essenziali, il mito del primitivo, l’uso del corpo quale estensione dell’opera/oggetto, il rapporto tra individuo e collettività, la commistione tra naturale e artificiale, caratterizzano la ricerca di Pascali, che mette in scena l’Africa, non la sublima, va oltre l’essenzialità plastica e lo studio della figura, nel tentativo di recuperare quell’armonia primordiale offuscata dall’intellettualismo dominante dell’epoca, utilizzando la materia come strumento di conoscenza, come una mitica invocazione degli elementi vitali. 

Nelle società primitive lo sciamano è colui che agisce ai limiti tra i due mondi, terreno e ultraterreno, in dialogo con le forze naturali, e che si esprime attraverso un simbolismo mitico, irriducibile alle categorie del pensiero e delle verità logiche. Riconoscere la vita al di fuori dell’uomo, ovunque si intraveda un principio di attività, e trasformare ogni comportamento in un linguaggio, è questo ciò che unisce Pascali ai riti e ai miti delle culture primitive. Pascali sciamano è una sorprendente esplorazione attraverso la produzione di Pascali tra il 1966 e il 1968 che permetterà di scoprire opere poco o mai esposte al pubblico.

Il percorso espositivo gioca con l’architettura evitando il confronto diretto tra i manufatti africani e le sculture dell’artista, mettendo invece queste ultime in stretta relazione tra loro, quasi a evocare una libera narrazione.

La mostra si sviluppa lungo i tre piani della Fondazione, ognuno dei quali è dedicato a uno dei tre anni della breve ma prolifica attività di dell’artista. Nel 1968 il critico Filiberto Menna affermò che gli artisti del movimento dell’Arte Povera, tra cui Pino Pascali, Michelangelo Pistoletto e Jannis Kounellis cercavano un “altrove alla natura, alla manualità e all’organico”. Queste e altre investigazioni che all’interno della dialettica tra il naturale e l’artificiale, i materiali desueti prelevati dal reale si fanno portatori dell’energia vitale e subiscono un processo di semplificazione, di riduzione ai minimi termini per ridurli in archetipi.

In questa chiave di lettura, i materiali diventano strumenti di conoscenza, relazione e dialogo e includono una pluralità di contenuti semantici dando come esito a soluzioni formali contro il mercato dell’arte, all’insegna di una libertà espressiva totale e destabilizzante. Pino Pascali è uno “sciamano” affascinato dall’immaginario naturalistico, dall’ardore dell’individuo di creare qualcosa di nuovo. Pascali e l’Africa hanno in comune una visione magica del mondo, esiti formali essenziali, i materiali poveri in contrapposizione alla società industriale e come si intreccia la cultura tribale con la ricerca dell’artista barese.

L’arte tribale sta a Pascali sciamano, come Picasso sta all’arte primitiva “Negra” e Brancusi all’essenzialità formale: lo attrae l’elemento magico, una dimensione non razionale, esiti formali totemici così diversi dai feticci industriali della società dei consumi, come un presupposto di conoscenza, immaginazione e relazione tra le forze naturali e le facoltà cognitive, in cui l’artista diventa intermediario tra il mondo terreno e l’ultraterreno. Nelle società primitive lo sciamano si esprime attraverso un simbolismo mitico e riconosce la vita ovunque, al di fuori dell’uomo, e in questo principio di attività vitale, Pascali trova l’energia rigenerante di una poetica che trasforma la materia, i comportamenti e le azioni in un linguaggio metaforico, invitando lo spettatore a immaginare nuove narrazioni suggerite da manufatti tribali e alcune delle sue opere più significative, quasi complementari le une alle altre, più magiche e misteriose.

Autore: Antonio Castellana

Rientra negli obiettivi principali di Antonio Castellana promuovere l’arte nella sua accezione più ampia attraverso i canali non soltanto del giornalismo e della critica d’arte, ma in particolar modo attraverso l’organizzazione di mostre d’arte e di eventi ad hoc per la riqualificazione del territorio e la valorizzazione delle espressioni artistiche moderne e contemporanee. Scopri di più su Antonio Castellana

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